Scappavo da mia madre, e lei mi ha salvata
Ho quasi trent’anni e un progetto che fino a poco tempo fa mi sembrava irrealizzabile: potermi permettere una casa tutta mia. Un sogno che penso sia di migliaia di giovani come me, ma che in me è riaffiorato solo adesso che mi sono risvegliata da un lungo incubo: la droga, che mi ha tenuta prigioniera per quasi metà della vita.
Non avevo compiuto ancora quattordici anni quando ho cominciato a farmi le canne. Era facile procurarsele, anche a scuola. Ero una ragazzina timida, molto chiusa e ombrosa fino a diventare aggressiva. Non mi piacevo, mi sentivo sbagliata, spesso inadeguata e brutta. Fumare qualche spinello, ogni tanto, mi faceva sentire bene. Più mi facevo e più mi stordivo e questo mi dava sollievo. Scappavo anche se non lo sapevo. Scappavo dai miei genitori, dal mio paese, dalle mie insicurezze, dal mio bisogno di amore. Così dopo le Medie ho voluto iscrivermi in un istituto professionale fuori regione, quasi fosse la soluzione di tutto. Lì ho conosciuto quello che poi sarebbe diventato il mio ragazzo e che con il suo giro mi ha portata dritta alle sostanze pesanti, eroina, coca, pasticche.
Riuscivo a portare avanti una vita apparentemente normale (anche se a scuola non andavo affatto bene), perché comunque mai nessun insegnante si è preoccupato di capire perché ero così spenta e antisociale. Mi drogavo di nascosto, in bagno, specie di coca che mi consentiva di tenere botta alla vita. Ma non credevo di aver bisogno d’aiuto, perché non mi sono mai sentita una tossica.
Ormai erano sei anni che mi drogavo, e avrei continuato, se non fosse stato per mia madre. Che io non sopportavo, perché la ritenevo troppo lontana dalla mia vita. E’ stata invece lei a ridarmela la vita. Da tempo mi controllava e alla fine mi ha scoperta: mi ha beccata mentre mi iniettavo l’eroina in vena. La sua rabbia si è subito trasformata in soccorso: ha cercato di capire, mi ha portata al Sert e intanto ha cercato un posto dove avrebbero potuto aiutarmi. E’ stato così che è venuta a sapere del Diogene, un percorso che l’associazione “La Ricerca” propone ai giovani che non hanno bisogno di entrare in comunità terapeutica. E’ stato così che spontaneamente, un pomeriggio, mi sono presentata sullo Stradone Farnese, dove mi hanno accolta senza farmi nessuna predica, mi hanno spiegato che al Diogene ci si conosce, ci si confronta, si fanno insieme delle cose. Mi sono convinta a provare: è stato l’inizio della mia ripresa.
Al Diogene ho imparato ad assumermi la responsabilità del confronto aperto, a litigare, a incassare, a dire ti voglio bene. Dopo un po’ ho anche smesso di mentire sulla faccenda droga, perché a un certo punto ho sentito il bisogno di smettere. E quando stavo male fisicamente, avevo mia madre su cui contare, e quelli del Diogene, ma anche il Sert che comunque ti accompagna con uno psicologo e con l’assistenza medica per l’assunzione di farmaci che attutiscono la crisi di astinenza.
Smessa la droga, piano piano ho sentito la vita rinascere in me. Non sono più sola: ho costruito rapporti di vera amicizia, faccio ancora uscite con il gruppo, che ho lasciato perché ho concluso il percorso, e soprattutto ho recuperato il rapporto con mia madre, una grande donna. Ho conseguito un diploma e ho un lavoro che mi consente di fare progetti. Sono ancora timida, forse un po’ meno chiusa e di tanto in tanto devo ancora fare i conti con questo carattere un po’ aggressivo. Ho però imparato ad apprezzare il mio lato sensibile. E anche se ho ancora delle paranoie, adesso non mi sento più una sorta di alieno, ho capito che fondamentalmente tutti abbiamo dei problemi che vanno affrontati per poter vivere la vita appieno. Io ci sto provando e, credetemi, ne vale la pena.