Elisa, 24 anni e un sogno: diventare una brava restauratrice. Ma ora che sta concludendo il cammino di recupero alla Luna Stellata ha un traguardo più urgente: dare stabilità a se stessa e a sua figlia Camilla, che ha poco più di un anno: un lavoro, una casa dove vivere in piena autonomia, la serenità. E’ una bella ragazza, di una bellezza dolce, viso ovale, un sorriso da bambina che si accende tra le pieghe delle tante amarezze che hanno segnato la sua giovane vita. Un’esistenza difficile, fatta di perdite, di botte subite per un amore malriposto, di fiducia tradita, e poi sbagli e cadute e ricadute. Il nome suo e della sua piccola sono di fantasia: è per proteggerle.
“Ero sul punto di farla finita” – “Me ne sono andata di casa a sedici anni per seguire il mio primo amore. Un grande sbaglio, me ne accorsi presto perché lui era un uomo violento e perverso. Mi maltrattava, abusava di me e voleva che anche gli amici abusassero del mio corpo. Ne ero soggiogata, mi sentivo paralizzata, una nullità. Mi aveva messa incinta, ma ho perso il bambino per le violenze subite. Un dolore troppo grande che mi ha dato il coraggio di scappare da quell’orco, da quel legame assurdo. Con l’aiuto di mio fratello sono ritornata a casa, dalla mia famiglia…ma niente, stavo troppo male per la perdita di mio figlio, è così che mi sono avvicinata alla droga, per cancellare i pensieri, per non morire, perché ero sul punto di farla finita”.
La droga e la nascita di Camilla – “L’incontro con la droga mi ha portato a conoscere quello che è poi diventato il padre della piccola Camilla. Abbiamo convissuto per cinque anni, e la bambina l’abbiamo voluta e cercata, certi che saremmo riusciti ad avere una vita normale. Ma non è stato così. Non ho avuto una gravidanza semplice, non riuscivo a smettere di drogarmi, vivevo nel terrore di perdere anche questa figlia. Per fortuna non so se Dio, o chi, ha voluto che invece nascesse sanissima e senza sindrome di astinenza. Sono stata molto fortunata”.
Nove giorni dopo il parto, l’àncora di salvezza: “Si sono presentati quelli dei Servizi Sociali per comunicarmi il decreto: se volevo continuare ad essere la mamma di mia figlia dovevo entrare in comunità di recupero. Un trauma, solo più tardi ho capito quanto questa cosa che mi appariva terribile, mi avesse invece offerto la salvezza”.
Perdere la figlia o accettare la riabilitazione – “Accettai, senza pensarci neanche un istante. Certo, all’inizio è stata durissima: era cambiato tutto, allontanata dal mio mondo, dal mio compagno, faticavo ad accettare le restrizioni della vita in comunità terapeutica, non ero più libera nemmeno di fare una passeggiata, niente più telefono, neppure potevo fumare una sigaretta senza permesso. Eppure lì è iniziata la mia risalita. Qui ho trovato tante persone che mi hanno aiutata tantissimo, ho tenuto duro, ho lavorato su di me, sul mio modo di rapportarmi con il mondo, e ancora devo migliorare. Ma già ora, dopo un anno e mezzo di lotta con la me stessa che ero, sono diventata un’altra persona, e sono contenta di quel che sto diventando e di quel che sto scoprendo di poter essere. Ho scoperto la grandezza di poter dare e ricevere amicizia, nella gioia e nel bisogno, sentire che gli altri mi vogliono bene. Perché in fondo è questo che mi è mancato nella vita: sentire che non sono sola, avere persone che si preoccupano per me. Ho riscoperto mio fratello, ho capito quanto lui ha fatto per me nei tempi bui quando vivevo con quell’uomo violento, e non mi ha mai mollata neanche quando ero persa nella tossicodipendenza. Purtroppo i miei genitori non si accorgevano che stavo molto male: io non permettevo loro di capire e loro forse avevano un po’, come dire?, il prosciutto sugli occhi…”.
La difficile scelta della libertà – “Sì, sono diventata un’altra. E ora che sto terminando il percorso riabilitativo in comunità sento di potercela fare a riprendere in mano la mia vita. Questione di pochi mesi. Per prima cosa dovrò trovare un lavoro, ho già iniziato a cercarlo. Intanto qui alla Luna Stellata mi impegno come responsabile della lavanderia, sto anche studiando per prendere la patente di guida. Con il padre di mia figlia stiamo facendo terapia familiare. Lui è molto dolce, è un buon padre, ma purtroppo è ancora in difficoltà, non ha seguito un percorso terapeutico per uscire dalla tossicodipendenza. Gli voglio ancora bene, abbiamo vissuto insieme per 5 anni, è il padre di mia figlia, ma ora come ora lo vede come un pericolo per me, per una ricaduta. Per questo ho deciso di affrontare una scelta per me dolorosa, quella che però tutela me e mia figlia: una volta uscita di qui non tornerò a vivere con lui. Sarà dura, dovrò ancora fare i conti con la solitudine. Fin da bambina mi sono sentita sola, chi non lo prova non può capire…lo sguardo non dato, quell’emozione non capita, quel bisogno non soddisfatto, quando cerchi qualcuno, qualcosa che ti aiuti a sopperire questo bisogno. Ed è lì che rischi di affidarti alla soluzione più facile che però può rivelarsi sbagliata. Ma ora sono più forte, riesco a pensare di essere forte abbastanza per affrontarla la solitudine, unico modo per riprendere il controllo della mia vita. Alle donne che stanno vivendo quel che ho vissuto io dico: fidatevi di più delle persone che vi porgono una mano per aiutarvi davvero, un amico, la propria madre, la comunità terapeutica, i servizi sociali. Bisogna scegliere di essere aiutati, bisogna volerlo. E’ dura ma ce la si fa. La libertà riconquistata è una grande gioia, quella che provo ogni mattina quando mi sveglio accanto alla mia bambina: la guardo, mi sorride, sento che andrà tutto bene”.
Elisa