“Premetto che non mi preoccupa affatto che i genitori si mettano in allarme. Oggi nei ragazzi c’è tanto disagio, sofferenza, solitudine. Non è male che cresca l’attenzione su queste cose, rispetto alle tante banalità che caratterizzano il rapporto con i figli. Spesso i ragazzi sono troppo ascoltati, coccolati, curati, sorvegliati. Ma questo non vuole dire che siano conosciuti e capiti”.
Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra, intervistato da Alfio Sciacca per il “Corriere della Sera” traccia un quadro del disagio giovanile partendo dalla drammatica uccisione di Giulia. In carcere c’è Filippo, l’ex fidanzato che non si era rassegnato alla fine della loro storia. Chi è? Un “mostro” che potrebbe nascondersi in ognuna delle nostre case? “In questi soggetti, nella relazione, più che l’amore e la sessualità, prevale qualcosa di misterioso che tende a guarirlo da un dolore inespresso, in nodo magico e portentoso. Ciò regala alla relazione un carattere irrinunciabile: una questione di vita o di morte”, risponde Pietropolli Charmet.
“In una prima fase – continua – ci si accanisce in pedinamenti e agguati per riportare lei alla ragione. Se poi l’abbandono si concretizza, viene fuori non solo rabbia o malinconia, ma la disperazione di chi si sente definitivamente perduto. E, ai suoi occhi, la responsabile di ciò è la persona che aveva fatto il sortilegio e poi l’ha rotto. Scatta così un mix atroce di rabbia e voglia di punizione”. Aggiunge che “tipico di questi soggetti è proprio far sentire tutto il peso dell’assenza, arrivando persino alla minaccia del suicidio, tranne poi non trovare il coraggio di suicidarsi anche dopo averla uccisa”.
I genitori di Filippo avevano appuntamento con uno psicologo, ma è facile portarvi un figlio? “No. È difficilissimo. Soprattutto per i padri” mentre, specifica lo psichiatra nell’intervista, “in genere i giovani accettano di andare da chi può affrontare il loro tormento. Solo una tipologia di soggetti, che va verso l’antisocialità e ha tratti delinquenziali, rifiuta di aprirsi”. Charmet ritiene che “vale sempre la pena di tentare. Sia chiaro: nessun può prevedere quello che accadrà. Ma se si riesce a far venire fuori fantasie e rabbia, trasformandole in parole e in narrazione, può servire a impedire che diventino invece azioni”. Sono in aumento i giovani, soprattutto maschi, che prendono molto male la delusione amorosa. “Nei ragazzi è cambiato il modo di gestire la fine della relazione. Se in passato suscitava sentimenti che portavano alla depressione, ora invece prevale la reazione violenta”.