Da bambina solare, divertente e simpatica era diventata un’adolescente suscettibile e nervosa portata ad isolarsi. E’ una storia, simile a tante altre, di una ragazza alle prese con l’anoressia. Oggi, a 22 anni, dopo dodici passati a combattere con la malattia, è studentessa universitaria, ma è ancora seguita dagli specialisti del Centro per i disturbi della nutrizione dell’alimentazione dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano.
La sua storia è raccontata da Sara Bettoni su “Il Corriere della Sera”. Comincia dagli anni delle medie (“Vedevo il mio corpo trasformarsi, mi spaventava: io volevo rimanere bambina”), continua con i pasti consumati a fatica (“Intervallavo ogni boccone con un bicchiere d’acqua, per alleviare i crampi di fame”), le bugie ai genitori (“Sono sempre stata la figlia, la sorella e la nipote perfetta. Nessuno si aspettava problemi da me”), i vestiti larghi per nascondere la magrezza, i cambiamenti d’umore.
Finché alle superiori un’insegnante non si insospettì (“In classe mi distraevo, andavo spesso in bagno, svenivo”) e l’accompagnò in ospedale. Quindi la confessione alla mamma: “E’ scoppiata a piangere e mi ha dato l’abbraccio più lungo della mia vita”. E’ l’inizio del percorso terapeutico con psicologo, dietista e psichiatra. I compagni di classe le sono sempre stati vicini, ma poi alcuni si sono allontanati (“E lo capisco: sono giovani con la voglia di spaccare il mondo, sentivano che era giusto continuare la loro vita”), ma sono nate nuove amicizie proprio nel luogo di cura e attraverso i social che da un lato l’hanno aiutata, dall’altro – sottolinea – sono da usare con cautela perché “in rete ci sono anche tante persone che promuovono la malattia”.
Ad una precisa domanda dell’intervistatrice sul rapporto con la malattia risponde che “in un certo senso i disturbi alimentari ti danno un’identità e quanto te ne devi distaccare, per andare verso la guarigione, entri in una crisi identitaria”. Oggi ritiene di essere al 60 per cento del suo percorso. “Mi dico che manca poco e poi perdo terreno. A volte fatico ad accettare la malattia e mi arrabbio per non aver goduto di un periodo della vita che gli altri mi dicono sia bellissimo. Non lo è stato per me”.