“La prima generazione di americani che ha attraversato la pubertà con in mano lo smartphone (e internet) è diventata sempre più ansiosa, depressa, soggetta a episodi di autolesionismo e suicidari…”. E’ quanto afferma Jonathan Haidt in “La generazione ansiosa” (sottotitolo “Come i social hanno rovinato i nostri figli”), a cui Walter Veltroni dedica un articolo su “Il Corriere della Sera”.
Secondo i dati pubblicati nel libro la depressione tra i ragazzi americani è cresciuta del 161% per i maschi e del 145% per le femmine, l’ansia del 139% e i suicidi del 91% tra i maschi e del 167% tra le femmine. È chiaro, almeno per me, che altri fattori — storici, sociali, ambientali — hanno inciso nel profondo sul grado di fiducia nella vita e nel futuro di questa generazione. Dice Haidt: “Il cervello umano contiene due sottosistemi che lo mettono in due modalità: la modalità di scoperta (per approcciare le opportunità) e la modalità di difesa (per difendersi dalle minacce). I giovani nati dopo il 1995 hanno maggiori probabilità di attenersi alla modalità di difesa, rispetto a quelli nati negli anni precedenti. Sono costantemente in allerta in previsione di pericoli, invece che in cerca di nuove esperienze. Soffrono di ansia”.
Veltroni rileva come per Haidt ciò che sta accadendo ha a che fare con la rimozione del gioco. “Proprio come il sistema immunitario deve essere esposto ai germi e gli alberi devono essere esposti al vento, i bambini devono essere esposti a ostacoli, insuccessi, shock e inciampi per poter sviluppare forza e autosufficienza. L’iperprotezione interferisce con questo sviluppo e rende più probabile che questi giovani diventino adulti fragili e apprensivi. I bambini cercano il livello di rischio ed emozione per cui sono pronti, in modo da dominare le proprie paure e sviluppare competenze”.
Bambini sottoposti da un lato a un eccesso di controllo e dall’altro lasciati completamente liberi di vagare nella Rete. Con conseguenze rovinose. Per l’autore – sintetizza Veltroni – in particolare sono venuti meno i momenti di socializzazione a causa dello smartphone, strumento che ha comportato anche un peggioramento del loro sonno in quantità e qualità oltre ad una frammentazione dell’attenzione (“Ricevono centinaia di notifiche al giorno, vale a dire che raramente hanno cinque o dieci minuti per pensare senza interruzioni”) sviluppando, ed è l’aspetto più pericoloso del fenomeno, forme di dipendenza che si manifestano con ansia, irritabilità, insonnia.
“Non bisogna accettare – conclude Veltroni – il catastrofismo dei nemici delle tecnologie, dei luddisti della evoluzione scientifica, ma cercare, secondo me, di distinguere le opportunità della rete dalle distorsioni dei social. Ci deve preoccupare l’affermarsi di una sollecitazione costante al pensiero puramente binario, alla rimozione della complessità e, ancor di più, dell’accoglienza del pensiero e dell’identità altrui. Il libro di Haidt dovrebbe essere discusso in classe, e letto tra genitori e figli”.