Ansia, depressione, autolesionismo, intenzioni suicide. Tutte situazioni – problematiche, spesso tragiche – che le autorità sanitarie americane in un rapporto hanno collegato all’uso eccessivo delle piattaforme. Secondo uno studio internazionale negli adolescenti i disturbi di ansia sono passati dall’11 al 21 per cento e dal 10 al 23 i sintomi depressivi. Vuol dire che un ragazzo su quattro sta male. Si sono moltiplicati i disturbi alimentari e i fenomeni di autolesionismo. E questo avviene specie tra le ragazze e specie nella prima adolescenza. Si registrano fenomeni di ritiro dalle scuole. In Giappone è nato il fenomeno dell’Hikikomori, ragazzi che escono solo di notte per non incontrare nessuno, che sigillano le finestre, che si ritirano dal mondo.
Analista dell’attività evolutiva, il professor Massimo Ammaniti, in un articolo di Walter Veltroni su “Il Corriere della Sera”, traccia un quadro non meno allarmante per quanto riguarda l’Italia. Afferma che “il dato nuovo, sul quale non si ragiona abbastanza, è la preponderanza del gruppo sulla famiglia”, mentre l’approccio è ancora legato al passato quando “era nella famiglia che si consumava la socializzazione: i pranzi, le gite, la condivisione di esperienze come l’andare al cinema o in un museo” e il rapporto “era gabbia da sfondare” ma esprimeva “quel bisogno di libertà vitale, naturale, che era una forma di energia”. “Ora – riflette – è il gruppo dei coetanei la palestra dove allenarsi alla vita, quella in cui si realizza il proprio sé, la propria identità, nel fuoco di un rapporto di confronto con altri coetanei che ti giudicano, ti accolgono o ti respingono. Ma tutto avviene, diversamente dal passato, in una dimensione pubblica, nella fornace dei social che sono spietati e agonistici”.
Mancano i fratelli, la società è fatta di figli unici e “questo accresce il senso di solitudine”, nel gruppo prevale il confronto ed il timore del giudizio. “Ma nel gruppo, inevitabilmente, c’è competizione, gelosia, talvolta sopraffazione e persino la tendenza a diventare complici. Il gruppo può diventare branco e spesso la coesione, garantita da un capo che ha la “cazzimma”, è data dalla violenza nei confronti delle ragazze o di chi è più debole, sia un immigrato o un dropout che dorme alla stazione”. Per Ammaniti i genitori non devono “identificare l’esperienza e la sofferenza dei ragazzi con il modo in cui loro hanno attraversato quel tempo della vita” poiché la frase “quando io avevo la tua età…è quella che più li offende, che più li fa sentire inascoltati, che accentua la loro solitudine”.
In più i social “comportano molte cose che nessuna generazione ha conosciuto prima”. Ci si deve autodefinire, si deve mettere il proprio volto e il proprio corpo in mostra, si misura quanti ti seguono. È molto facile diventare uno sfigato o un soggetto” afferma nell’intervista di Veltroni. Un’epoca dominata dall’ansia, che se ieri “era direzionata: l’interrogazione, il voto, il lavoro da trovare, l’amore da scegliere”, oggi “è un sentimento diffuso e permanente, alimentato dal buio storico e dalla esposizione permanente”. “L’adolescenza – prosegue – adesso dura un tempo infinito. Io vedo persino dei cinquantenni che non accettano di non essere più ragazzi”. Cosa devono fare genitori e insegnanti? I primi “spesso esagerano, cercano di essere amici, persino confidenti e poi perdono facilmente la pazienza” mentre “non devono essere intrusivi, devono fissare, cercando di condividerle, delle regole, devono far venire voglia di parlare e, per farlo, essere disposti ad ascoltare”. Gli insegnanti – “deprivati di ruolo sociale e contestati fino a delegittimarne il ruolo in omaggio alla crociata permanente contro la competenza” – devono trovare entusiasmo, capacità di motivare e a loro volta di ascoltare”. Così rappresenteranno “un conforto enorme”.
Niente cellulare prima dei dodici anni, in classe e dopo le 21.30 (“Stanno diventando un arto e non più un mezzo di comunicazione”), far percepire che “l’autostima non è legata solo al giudizio degli altri o del gruppo ma è il risultato del superamento dei propri limiti, dalla capacità di mettersi alla prova, dalla disponibilità a perdere per poi, magari, vincere”. Tutto questo perché “non si può aspettare: se prima il disagio dei giovani era un’eccezione, ora è un’epidemia”.