Il progetto Exit Push the button avviato coinvolgendo educatori e adolescenti. Mappatura del fenomeno, rete di esperti e servizi, laboratori per ragazzi e ragazze /
Hikikomori, che fare? I primi segnali di allarme spesso si manifestano a scuola. “Solitamente i genitori sono i primi che si interpellano qualora si percepisca il malessere di un ragazzo o di una ragazza. Ma non sempre sono pronti a cogliere la voce e la preoccupazione di docenti e psicologi. Il colloquio con i genitori di un alunno ritirato è sempre doloroso poiché i genitori spesso si arroccano sul “se riesco a capire cosa ha scatenato il delirio, intervengo e risolvo il problema”, sono cioè in cerca di una causa per porvi rimedio. Durante i colloqui si tenta dunque di spostare lo sguardo dalla lettura delle presunte cause a quello che c’è da fare. Capita poi che le famiglie non accettino la situazione e questo crea un ostacolo non da poco”.
E’ una delle questioni emerse al primo world cafè sul fenomeno dei “ritirati sociali” nel nostro territorio, dove i curatori del progetto Exit Push the button (Cooperativa l’Arco, Associazione la Ricerca e Cooperativa Codici Ricerca e Intervento) hanno chiesto a una quarantina di persone, genitori, insegnanti, operatori sociali di condividere pensieri e aspettative, scambiando le loro conoscenze rispetto al fenomeno, a come viene trattato nei loro contesti di vita e di lavoro.
Il primo passo: mappare e intervenire – Il “tavolo virtuale” di confronto (che si è svolto sulla piattaforma Zoom con la tecnica del “world cafè”) è uno dei primi passi compiuti di mappatura del fenomeno in un percorso avviato nella nostra città dal progetto Exit Push the button (voluto dal Comune di Piacenza, assessorato al Welfare, e finanziato tramite bando regionale): una rete di esperti, educatori, ricercatori si sta formando e allargando sempre di più per accerchiare il fenomeno dei cosiddetti “hikikomori” (o “ritirati sociali”), giovani (e anche meno giovani) che hanno bisogno di essere chiamati fuori dal gorgo dell’autoemarginazione, giovani che “non trovano più piacere nel contatto relazionale con gli altri, persino con i propri familiari, e si chiudono nel loro mondo”. Aiutarli è complesso e richiede il coinvolgimento di tutti. Bisogna riuscire a essere di supporto nei contesti dove il fenomeno si manifesta, che sia la famiglia, la scuola, la parrocchia, la squadra sportiva, i servizi sociosanitari. Per questo si cerca quindi di coinvolgere genitori, insegnanti, allenatori, sacerdoti, medici, quanti coprono in qualche modo un ruolo educativo e di riferimento.
In parallelo attività con i giovani – Due le direzioni in cui si sta concretizzando il progetto: accanto al percorso di coinvolgimento degli adulti educanti e di mappatura del fenomeno (per raccogliere informazioni non solo quali/quantitative sulle sue dimensioni, ma anche i profili dei minori coinvolti, la natura e le caratteristiche dei percorsi di esclusione, e delinearne modelli di intervento e possibili piste di lavoro), si cerca il contatto diretto con i ragazzi toccati dal problema (o a rischio) ai quali vengono proposte sia attività individuali sia di gruppo (e a domicilio) tramite laboratori di mindfullness, un laboratorio creativo-espressivo, due laboratori sulle competenze socio-relazionali. Una sessantina gli adolescenti (11-18 anni) che saranno coinvolti quest’anno con le loro famiglie (solo una decina effettivamente “ritirati”, gli altri considerati “a rischio ritiro sociale”). Sono stati intercettati attraverso gli sportelli di ascolto delle scuole secondarie di secondo grado di Piacenza, indirizzati dai Servizi territoriali e da segnalazioni fatte da genitori e insegnanti.
Quali segnali? Quando preoccuparsi? – “Una delle manifestazioni più evidenti è uno stato apparentemente depressivo del ragazzo a cui si accompagnano cali netti nel rendimento scolastico e l’inversione del ritmo sonno-veglia – osservano gli esperti La Ricerca-L’Arco nel report del world-cafè – . Oltre alla tristezza e alla depressione, si vedono ultimamente anche scoppi di rabbia dei ragazzi a casa e fuori, maggiore irritabilità e nervosismo di fronte a un rimprovero. I ragazzi vivono momento di forte frustrazione, e si chiudono in internet per avere socialità che fuori non si può avere, confliggendo spesso con i genitori per il tempo passato su internet”.
Attenti a non confondere ritiro con disaffezione – Una nota che aiuta a non confondersi:“Nel periodo adolescenziale ci sono ciclicamente delle fasi di ritiro, da non confondersi però con il ritiro sociale che scatta quando subentra la disaffezione, l’ansia e la paura verso le relazioni sociali, per cui si sta meglio se ce ne si tira fuori. Ultimamente si sono viste situazioni di aggressività verso se stessi, molti ragazzi che hanno tentato il suicidio, ragazzi che non erano in carico al servizio, ma che anzi sembravano essere molto performanti e che l’isolamento ha fatto deviare al punto di arrivare all’agito di tentare il suicidio. Viene riportato un aumento di ragazzi segnalati per eccessiva aggressività verso gli altri nelle chat scolastiche o che abusano di gioco d’azzardo alle superiori”.
Perché è utile una formazione sui segnali di rischio del ritiro – I ruoli scolastici ed educativi in generale (es. allenatori, educatori CAG) hanno l’opportunità e il privilegio di vedere i segni di ciò che può essere chiamato pre-ritiro e devono quindi avere la prontezza di cogliere quei segnali che ci possono far pensare a situazioni particolarmente problematiche e che possono sfociare in ritiro vero e proprio. Bisogna dare importanza ai segnali che i ragazzi ci danno, non in maniera allarmistica o ansiogena da parte degli adulti ma con consapevolezza. In questo senso, sarebbe utile una formazione sui segnali di rischio del ritiro sociale per insegnanti, operatori e famiglie”.
In primis aiutare i genitori a capire – Determinante il ruolo dei genitori. Ma loro come si approcciano al fenomeno-Hikikomori? Dal primo confronto realizzato con il world-cafè del progetto Exit emerge come in un contesto di problematiche più ampie di relazione genitori-figli, imputano a internet e al telefono la colpa del ritiro sociale. Bisogna quindi stimolarli ad approfondire l’analisi delle cause del ritiro, “in quanto – è emerso nel corso del confronto – il contesto familiare è qualcosa che può accelerare ed esasperare parti già presenti nell’essere adolescente”. Bisogna aiutarli ad accettare i figli per quelli che sono, eccessive o non centrate aspettative rovinano il rapporto genitori-figli, così come la genitorialità ansiogena”.
CHE COSA SI ASPETTA LA SCUOLA DAL PROGETTO EXIT
Ma oltre alle aspettative genitoriali ci sono anche le aspettative sociali e scolastiche che pesano tantissimo sui figli che devono rispondere a molteplici richieste del mondo verso di loro. il ritiro sociale include l’assenza scolastica, il non venire per settimane. Il fenomeno dell’abbandono scolastico è esploso anch’esso con la pandemia, qualcosa che c’è sempre stato ma che si è acuito in questi ultimi due anni. I continui passaggi da frequenza a DAD e in maggior misura se questi passaggi hanno visto la transizione da scuola media a superiore durante il lockdown ha significato grandi difficoltà nel passare in un nuovo contesto tornando in presenza (es. ragazza che non è andata in presenza dopo 1 anno in dad).
Gli insegnanti da parte loro, consapevoli del loro ruolo educativo, sentono la necessità di una formazione trasversale per tutti/e i/le docenti su queste tematiche.
“Ci si aspetta che il progetto aiuti gli insegnanti ad avere il coraggio di adottare un nuovo approccio, uno sguardo nuovo sui ragazzi e sul ruolo della scuola.Ci si aspetta anche che gli interventi riescano a rimotivare i ragazzi che sono generalmente in una situazione di mancanza di desiderio. Il progetto deve riuscire ad attivare azioni di prevenzione già nei più piccoli, per evitare che il fenomeno dilaghi quando cresceranno”.
Creare occasioni di confronto tra i ragazzi – “Ragazzi e ragazzein alcuni casi chiedono aiuto in maniera indipendente dai genitori. A volte raccontano di aver avuto problemi negli ultimi anni e di averli superati. Spesso si sono resi invisibili durante la DAD spegnendo semplicemente la telecamera. Bisogna aiutare ragazze e ragazzi a relativizzare e ad affrontare la paura del confronto, che nasce dal vivere male il giudizio. Stanno male perché non si sentono all’altezza. Bisogna fargli fare delle esperienze in cui si sentano bravi, valorizzati e motivati. Questo progetto deve cercare di intercettare più possibile i ragazzi e offrire occasioni perché facciano confusione e si ritrovino. Che possano stare insieme e sentire la loro voce”.
E’ necessario promuovere una nuova idea di adolescenti con nuovi bisogni, nuovi problemi. A tal proposito, è limitante pensare che il problema siano i social o Internet, anzi, questi strumenti hanno aiutato ragazzi e ragazze a non ritirarsi completamente durante il Covid, ad aggregarsi e mantenere i contatti che non riuscivano a mantenere. Social e Internet sono stati lo spazio personale per resistere all’improvvisa e inaspettata quantità di tempo da dover condividere con la famiglia.
Che cosa si sta già facendo– Il report riporta in sintesi quanto si sta facendo nelle scuole: “Negli ultimi mesi le scuole si sono molto interrogate perché le richieste e gli accessi agli sportelli d’ascolto sono aumentati, così come le segnalazioni di genitori e insegnanti. Sono dati preoccupanti, che evidenziano un malessere diffuso. Ragazzi e ragazze chiedono aiuto, hanno bisogno di essere ascoltati/e, non sono abituati/e a parlare e, dunque, vanno spesso indirizzati/e e incoraggiati/e dai/lle loro insegnanti a farsi aiutare”.
In generale, emerge la necessità di investire sul rafforzamento delle capacità, dell’autostima, dell’utilizzo della creatività e sulla possibilità di realizzare cose, fargli mettere le mani in pasta, sperimentare. Bisogna pensare ad attività che li tengano agganciati, che li coinvolgano, che li stimolino.