"Ospiti, operatori, volontari, amici: la Pellegrina siamo tutti noi"
“Chi frequenta questa casa la sente un po’ sua”. E’ una riflessione che ritorna più volte nelle parole della responsabile Francesca Sali, da vent’anni operatrice alla “Pelle”.
“Pelle” è l’appellativo con cui i più intimi chiamano Casa Don Venturini, la comunità di accoglienza per persone in hiv-aids, sede alla Pellegrina, che in questo 2023 si appresta a celebrare il trentennale di fondazione, una ricorrenza che è segnata da una svolta: quella di aprirsi ancora di più al territorio, facendosi “luogo d’incontro” per coinvolgere sempre più gente, “un luogo che sia della comunità piacentina, che possa essere anche utilizzato dalla città”. Allontanata l’ombra cupa della malattia che porta alla morte – “Grazie alle nuove terapie non è più così da tempo, le speranze di vita sono ormai assodate” -, negli anni questa realtà ha in effetti manifestato grandi potenzialità aggregative e di significato, si è rivelata essere via via quel “luogo delle relazioni buone” di cui parlò mons. Gianni Ambrosio in un recente convegno delle Caritas parrocchiali invitando i piacentini a cogliere la valenza di dono dell’Opera Segno: “La Pellegrina – aveva sottolineato – rappresenta una bella fonte, un modello educativo che ci riporta alla sorgente della buona relazione e della buona opera; quelle che l’hanno sperimentato lo possono testimoniare”.
Un impatto viscerale, si avverte lo spirito dell’accoglienza – L’allora vescovo di Piacenza-Bobbio aveva, come si suol dire, visto lontano: chi questa casa la vive, perché ci lavora, perché la abita, perché qui viene a esprimere il suo bisogno di vivere un’esperienza straordinaria di umanità come volontario, ha ben chiara la valenza umana, sociale, spirituale, di una realtà dove la sofferenza della malattia e per di più di una malattia altamente emarginante, porta a cercare verità e autenticità nei valori della vita, dei legami, dei sentimenti tra le persone. Stessa percezione, anzi di più, stesso vissuto, viene testimoniato dai tanti giovani, soprattutto studenti e scout, che nel tempo sono venuti qui a cercare di conoscere da vicino e capire. “Il valore aggiunto di questa casa – osserva Francesca Sali – sta proprio nel carisma che va oltre le persone che la abitano. Chi entra qui sente il valore profondo delle relazioni umane e lo spirito dell’accoglienza. Le persone non si sentono ospiti, ma protagoniste, questa è la loro casa, non un luogo costrittivo, dove si ha voglia di fare al di là delle regole, delle procedure e dei protocolli. E questo vale anche per i volontari e per noi operatori. Certo, bisogna entrare con la disponibilità a lasciarsi prendere da questo luogo, esserci davvero per condividere, stare insieme. E’ un impatto viscerale”.
Ridiamoci appuntamento dopo 30 anni – Una grande fiaccolata – dalla Pellegrina alla Cattedrale – aveva salutato l’apertura della casa trent’anni fa. Un evento molto sentito e partecipato. “Allora come oggi – incalza Francesca Sali – il messaggio era chiaro: la Pellegrina è della città, è di tutti i piacentini”. Un messaggio che oggi viene ribadito con lo slogan che accompagnerà le iniziative di coinvolgimento che si snoderanno da qui a fine dicembre: “Ridiamoci appuntamento dopo 30 anni”. In calendario svariati appuntamenti rivolti alle famiglie, ai giovani, agli anziani. “Riapriamo con un vigore che si è rafforzato dopo l’isolamento forzato della pandemia, per restituirci a Piacenza, perché questa struttura è nata per la comunità intera, non solo per la comunità cristiana. I piacentini devono tornare a sentirla casa loro”.
Nuove progettazioni per nuove accoglienze – Tredici gli ospiti che abitano alla “Pelle”, tre di loro sono seguiti negli appartamenti dell’assistenza domiciliare. Sette gli operatori, tra os ed educatori, che compongono l’équipe di cura affiancati da un infermiere e da psicologi. Un sacerdote, don Franco Capelli, da sempre impegnato al fianco delle persone alla “Ricerca”, li sta accompagnando in un percorso di spiritualità. Le loro riflessioni saranno poi portate all’attenzione del vescovo mons. Adriano Cevolotto e come messaggio alla città. Nella quotidianità vengono svolte diverse attività dalla fisioterapia ai laboratori video o di cucina. Ciascuno partecipa come ritiene o si sente a seconda delle proprie risorse o criticità. Quelli più in forze riprenderanno a impegnarsi in campagne di informazione e prevenzione, soprattutto portando la loro testimonianza ai giovani. Costante il dialogo aperto sui social dalle pagine Facebook e Instagram animate direttamente da loro e dai volontari della casa, ed anche attraverso messaggi di reciproca vicinanza sulla stampa locale, specie in periodo di lockdown e post-pandemia.
Si vive più a lungo, aumentano le fragilità – “Al momento la maggioranza degli ospiti è in età avanzata e deve fare i conti con fragilità e disabilità non sempre collegate all’hiv. E questo ci ha portati anche a pensare a nuove progettazioni per la città che contemplino una nuova accoglienza aperta a persone che non sono in hiv ma che presentano delle fragilità molto elevate”.
Un modello di casa-alloggio molto richiesto – Facendo parte della rete del Cica, il Coordinamento italiano case alloggio per persone con hiv/aids, la “Don Venturini” è in dialogo continuo con le altre esperienze nazionali, attraverso momenti formativi e di confronto. Ed è anche qui che si trova conferma di quanto il modello familiare sia la direzione da intraprendere. “Ci stanno arrivando diverse richieste, anche dalla nostra provincia, per poter replicare questa formula ad altre tipologie di pazienti”.
Enrico Corti, La Ricerca: qui si fa promozione umana – “La Casa accoglienza don Venturini è nata dal cuore della Diocesi e in cattedrale vuole restituire alla chiesa locale il lavoro di promozione umana di questi trent’anni” sono le parole con cui Enrico Corti, presidente dell’associazione La Ricerca (che gestisce la struttura in collaborazione con la Caritas) ha salutato il vescovo Cevolotto a fine gennaio in cattedrale, alla presentazione dello speciale annullo postale Die emissioni IX centenario della fondazione della Cattedrale di Piacenza, che ha preso le mosse da un collage realizzato dagli ospiti della Pellegrina in occasione delle celebrazioni per i novecento anni del Duomo. E il presule aveva espresso un sentito grazie “perché ci aiutate a guardare il centro della città con gli occhi che vengono dalla periferia”.