La pandemia da Covid 19 ha avuto ripercussioni anche sulla prevenzione all’aids. E’ quanto emerge dall’ultimo report che l’Ausl di Piacenza ha diffuso in occasione della Giornata mondiale contro l’aids. Il responsabile della gestione dei pazienti con infezione da hiv, Alessandro Ruggieri rileva: “Possiamo ritenere che l’epidemia di Sars-Cov 2 abbiamo ridotto l’accesso ai test. Non è stato possibile nemmeno organizzare le tradizionali giornate di sensibilizzazione tra la popolazione, nelle quali questa prova veniva offerta gratuitamente”. C’è quindi il rischio che in futuro possano emergere pazienti con infezione da hiv già in fase avanzata di malattia.
Le persone che accedono almeno una volta l’anno al reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale di Piacenza sono più di 700: oltre il 90 per cento è in terapia antiretrovirale, 120 hanno già diagnosi di aids. Dopo 2 anni di sensibile calo di nuovi infezioni, nel 2020 sono stati riscontrati 13 nuovi casi di infezione da hiv, ovvero più di un caso al mese.
Rarissime le infezioni fra i tossicodipendenti, oltre il 90 per cento sono avvenute per via sessuale: nelle 13 nuove diagnosi la trasmissione è stata sempre attribuibile a contagio per rapporti sessuali (10 maschi e 3 femmine, fra i 20 e i 56 anni d’età). “Nessuno – ribadisce il dottor Ruggieri – può dunque sentirsi al sicuro: il concetto di categorie a rischio deve essere abbandonato, il problema riguarda tutta la popolazione sessualmente attiva”.
“Nel reparto di Malattie infettive dell’Ospedale di Piacenza il più giovane sieropositivo seguito ha 20 anni, il più anziano 85”. La raccomandazione valida per tutti non può che essere di condurre una vita sessuale responsabile, adottando le giuste precauzioni per impedire la trasmissione. Cosa fare in caso di dubbio? “Eseguire il test: se l’infezione viene individuata in tempo, si può ben gestire la malattia, grazie alle potenti ed efficaci terapie disponibili”.
Se ci si cura in tempo, l’aspettativa di vita è normale: oggi l’aspettativa di vita di una persona che scopre di avere l’hiv precocemente con un sistema immunitario non compromesso è pari a quella di un soggetto che non ha l’infezione. Anche in situazioni drammatiche come questa che di emergenza sanitaria da Covid. “Sono state eseguite sierologie per Sars-Cov 2 alla maggior parte dei nostri pazienti: riscontro di circa il 25% di positivi (tamponi tutti negativi) in linea con altri studi eseguiti nella nostra provincia così duramente colpita dalla pandemia, con infezione nel 90% dei casi completamente asintomatica, 3 soli casi gravi che hanno richiesto ricovero ospedaliero con ossigeno terapia ad alto flusso: tutti erano gravemente immunodepressi con già diagnosi di aids, nessuno è deceduto. Una ragione in più per eseguire precocemente il test in tutte le persone sessualmente attive”.
Si muore di meno – Anche se quest’anno molte persone sono giunte alla diagnosi con un sistema immunitario compromesso segno di infezione presente da anni e diagnosticata tardivamente, uno solo è risultato già in aids conclamato rispetto ai sei dell’anno scorso. Ma di virus dell’immunodeficienza umana si muore ancora, anche se in misura nettamente minore rispetto al passato grazie ai nuovi farmaci di ultima generazione: due le persone decedute nel 2019 con infezione da HIV per problematiche non HIV correlate.