Non bastavano le difficoltà legate al covid che hanno messo a repentaglio servizi e prestazioni, ora il welfare – come del resto tutti o gran parte dei cittadini – è alle prese con caro bollette, rette bloccate, costi aumentati, operatori migrati nel pubblico e profili professionali con contingenti numericamente inadeguati al bisogno. A lanciare l’allarme è Eleonora Vanni, presidente di Legacoopsociali: “Sulle cooperative sociali si sono abbattuti contemporaneamente una serie di problemi, vecchi e nuovi, che non vengono presi in considerazione. È questo il punto: che non vediamo sui nostri temi un’attenzione e una consapevolezza che ci faccia pensare ad una presa in carico e alla possibilità che si delinei all’orizzonte una soluzione».
In un articolo di Sara De Carli su Vita.it, la presidente di Legacoopsociali lamenta che il governo stia mettendo risorse sulle imprese di produzione e non consideri la necessità di prendere in carico tutte le attività, incluse quelle più tipiche della cooperazione sociale. “Pensiamo – afferma – ai centri residenziali, ai centri diurni… è impensabile spostare le attività nelle fasce orarie in cui l’energia costa meno e nemmeno possiamo aumentare i costi dei servizi, facendoli ricadere sugli utenti. In parte perché i costi dei nostri servizi sono bloccati in quanto le tariffe sono pubbliche, in parte perché sappiamo che i rincari ricadrebbero su fasce di popolazioni già fragili. Per limitare il peso delle bollette non possiamo neanche rimandare o sospendere alcune attività, perché in molti casi questo significherebbe interruzione servizio di pubblica utilità: ovviamente nemmeno lo vogliamo fare, perché andrebbe a danno di persone che patirebbero molto le eventuali interruzioni, che comporterebbero ricadute”.
Le cooperative stanno inoltre fronteggiando un incremento del costo del lavoro collegato al nuovo contratto, ma molte amministrazioni pubbliche non hanno ancora provveduto ai conseguenti adeguamenti. “La qualità del lavoro è strettamente connessa – aggiunge – anche alla qualità salariale, ma i costi non possono semplicemente essere ribaltati sui servizi e d’altra parte non possono essere oltremodo assorbiti dalle cooperative sociali, che già lavorano con margini assai risicati. Stiamo lavorando perché venga riconosciuto il principio che nei contratti pubblici ci sia un obbligo di revisione dei prezzi quando avvenga in essere una variazione di costi non prevedibili al momento della presentazione dell’offerta, legati ad esempio all’applicazione di modifiche normative nazionali ed europee, variazione del costo dei materiali e il rinnovo dei CCNL nazionali”.
La pandemia ha anche provocato la migrazione di molti operatori del settore socio-sanitario e socio-assistenziale verso il settore pubblico. “E’ un tema – dice Eleonora Vanni – di grandissimo rilievo. Siamo sempre più in difficoltà, a causa di ciò, rispetto all’ottemperanza dei parametri normativi per la qualità dei servizi”. “Per formare un infermiere – continua – ci vogliono almeno tre anni. Il Pnrr parla molto di sanità di territorio, ma gli infermieri di comunità da inserire nelle case della salute non ci sono: il numero degli iscritti ai corsi universitari è stato aumentato, ma c’è un problema di fondo che riguarda come si calcola il fabbisogno di queste figure. Se il calcolo del fabbisogno di infermieri continua ad essere fatto solo sul servizio pubblico e cioè in sostanza sugli infermieri che lavorano negli ospedali, è chiaro che la programmazione non funziona”.
“Sugli educatori invece – conclude – siamo in mezzo al guado per ciò che riguarda il profilo dell’educatore sociopedagogico e sociosanitario: nell’ottica della necessaria maggiore integrazione dei servizi sociosanitari a mio parere sarebbe opportuno individuare un unico profilo di educatore, magari con più indirizzi di specializzazione”.