Spaesati. Confusi. In crisi di identità. Il prolungarsi della pandemia sta mettendo a dura prova tutti noi. Il distanziamento forzato da Covid 19 sta avendo ripercussioni psicologiche su tantissime persone: isolamento, mascherine, misure di sicurezza necessarie per scongiurare il rischio di contagio e, non di meno, paure di essere contagiati e di contagiare. Ne sta risentendo tantissimo anche il mondo del volontariato che è quasi sempre basato sulla prossimità, una vicinanza fisica all’altro che le restrizioni da Covid hanno reso impraticabile: nel caso di un’associazione come la PaCe che affianca La Ricerca in aiuto alle persone fragili a mandare in crisi è l’impossibilità di stare fisicamente vicini, niente abbracci, niente strette di mano, nessuna attività da fare insieme agli ospiti delle comunità e agli utenti dei servizi.
“Chi siamo adesso?” è la domanda che li affligge. “Come ritrovare il senso del nostro essere volontari? Come riprendere il filo di un discorso interrotto da quasi un anno ormai?” (e gli operatori dei servizi e delle strutture di accoglienza, da parte loro, domandano: “Come possiamo lavorare con i volontari adesso che non possono fare niente?”).
Il prof. Enrico Carosio, educatore professionale socio-pedagogico e docente in Cattolica, oltre che responsabile di CASCO Enterprise, Centro per gli apprendimenti e lo sviluppo delle competenze, è stato invitato al confronto in un call con volontari PaCe e operatori La Ricerca, su come districarsi tra sentimenti e inquietudini di questo tempo sospeso dove le persone propense ad aiutare gli altri vivono combattute tra l’insofferenza di non poter fare e la paura di fare sbagliando. “Si rischia l’immobilità” mette in guardia l’esperto. E rilancia con proposte di azioni concrete:
E’ il momento di riflettere per crescere – Viviamo in un tempo sospeso, costretti a limitazioni “da un evento singularity, eccezionale, come è la pandemia che ha stravolto ciò che c’era prima, in tutti gli ambiti della vita e delle attività umane. Così, senza accorgercene, stiamo prendendo nuove abitudini. Fatichiamo ad accettare i cambiamenti, ma nel contempo si fa presto ad abituarsi: secondo le neuroscienze bastano 21 giorni di comportamenti ripetuti perché questi si fissino nella nostra memoria. Se si sta fermi, guardando a quel che era e non è più, rischiamo di andare indietro. Dobbiamo cogliere questo momento “sospeso” come opportunità per riflettere su chi siamo e su dove (e come) vogliamo andare”.
Come procedere? – “Bisogna partire dalla memoria: da chi siamo, da quelle che sono le nostre competenze, le nostre risorse e confrontarci, chiedendoci: Come stiamo? Come stiamo lavorando? Cosa ci manca? Abbiamo ancora voglia di fare? Abbiamo perso la speranza? Non diamo niente per scontato. Confrontatevi sfruttando le tecnologie che consentono incontri online. Costruite insieme progetti nuovi”.
Proiettati nel futuro – “La memoria ci serve per proiettarci nel futuro. Sogni, desideri, bisogni, innovazione, idee: mettete in campo tutto questo. State valutando, ad esempio, come raccontare la pandemia agli ospiti delle comunità che non potete raggiungere se non da remoto? Come raccontarla senza essere retorici, né superficiali, né spenti, ma portatori di positività, non nascondendo, non semplificando?
Bisogna entrare nell’ottica del cambiamento. Difficile da accettare: le cose sono cambiate e noi dobbiamo cambiare. “Le persone cambiano se vogliono cambiare, se sanno come e cosa cambiare, se il clima lavorativo è adatto (sereno, non afflitto da continui conflitti, ora c’è bisogno di restare uniti), se ricevono supporto e incentivi, nel senso di riconoscimenti, non in denaro ovviamente, condividendo risultati e progetti. Bisogna impegnarsi nel perseguire micro-obiettivi, ci vogliono le condizioni per creare progetti, magari piccoli progetti, ma realizzabili”.
Se abbiamo qualche sogno per il futuro allora riusciremo a decidere che cosa fare
E’ il momento di osare – “Impegniamoci a fare cose nuove, è il momento di sperimentare, fate gruppi tematici da proporre insieme agli educatori. E man mano che si avvia un progetto monitoratene l’andamento. Riflettete sui bisogni e sulle risorse che avete a disposizione, aprite la mente, bisogna documentarsi, studiare, creare occasioni di confronto”.
Nuovi servizi, nuove campagne – Tra le possibili vie da intraprendere anche l’impegno in nuovi servizi: per quanto riguarda l’associazione La Ricerca è stato proprio avviato da poco un servizio di accoglienza ai senza fissa dimora, un’opportunità su cui misurarsi per volontari che ad oggi hanno acquisito competenze sulla prossimità alle persone fragili, ma in ambiti diversi, legati principalmente ai problemi della dipendenza da sostanze. E ancora un altro ambito che apre spiragli di progettualità: la necessità di far crescere una generazione nuova di volontari. Carosio suggerisce: “Provate a confrontarvi su nuove modalità di approccio e dialogo con i giovani”.