“Sono tre anni che non esco di casa. Non lavoro ma faccio molti lavori: mi occupo 24 ore al giorno di mio figlio, che ha 8 anni e una malattia neurodegenerativa gravissima. Di fatto copro tre turni continui di un infermiere specializzato, ma senza ferie, giorni festivi o riposi”. Così sintetizza – in un articolo di Francesco Giambertone pubblicato su “Buone Notizie” de “Il Corriere della Sera” dell’8 novembre – la sua vita una mamma di 40 anni che, come da definizione tecnica, “si prende cura a tempo pieno di un parente convivente non autosufficiente per disabilità o malattia”. In altre parole colui, o in questo caso colei, che viene oggi viene chiamato caregiver familiare.
Il bambino ha una tetraparesi posturale dalla nascita: non parla, non ha controllo dei suoi movimenti. Da quando è esploso il covid lei non esce più per paura di contagiarlo. E data la sua fragilità sarebbe un dramma nel dramma.
L’articolo di Giambertone si allarga al problema generale dei caregiver i cui “diritti umani sono inesistenti da anni” come “ha stabilito a inizio ottobre persino l’Onu”che, “giudicando il caso presentato da una donna che aveva un marito e una figlia non autosufficienti, ha deciso di condannare l’Italia per non aver mai istituito un sistema che garantisse qualche tutela ai caregiver familiari, e l’ha invitata a rimediare al più presto”.
Le associazioni, prosegue l’articolo “chiedono da anni una legge che preveda contributi previdenziali, coperture assicurative, sostegni economici, la possibilità di andare in pensione in anticipo, il diritto al riposo, alle cure, alle ferie”. Come avviene in moltissimi Paesi dove “spesso i caregiver familiari sono stati equiparati a lavoratori del Servizio sanitario nazionale”.
Nel 2009 la biologa australiana Elizabeth Blackburn vinse il Nobel per la Medicina dimostrando che i caregiver familiari (circa 7 su 10 sono donne) vivono dai 9 ai 17 anni in meno della media: il risultato di danni fisici, di burnout e gravi depressioni cui sono portati.
Non esistono stime ufficiali sul numero dei caregiver familiari in Italia, ma si calcola che potrebbero essere fino a 3 milioni. E non si parla di persone che si occupano sporadicamente di un parente anziano, bensì di donne e uomini che hanno “un parente in casa, spesso minorenne, cui dare da mangiare e da bere, cui somministrare con attenzione le medicine, che deve lavare, spostare, accudire, ogni giorno e ogni notte, spesso perdendo per strada amici, lavoro (il 60% è costretto a lasciarlo) e anche il diritto di esistere come individuo”.
Un impegno ed un logorio che configura “un vero lavoro e di un atto di responsabilità che lo Stato dovrebbe riconoscere, invece che abbandonare i caregiver familiari a sé stessi, di fatto facendo pagare a loro qualcosa che riguarda l’intera collettività” sostengono le associazioni dei disabili. Tra il 2018 e il 2021 il governo ha introdotto due fondi per complessivi 105 milioni all’anno. “È qualcosa, ma non abbastanza”. “Entro sei mesi – conclude l’articolo – l’Italia dovrà spiegare per iscritto al Comitato Onu come intende rimediare alle sue mancanze. In più dovrà risarcire la famiglia che ha presentato quel ricorso”. Con il rischio che i ricorsi all’Onu diventino migliaia, “con costi esorbitanti per le casse dello Stato”.