“Dieci lezioni sul male. I crimini degli adolescenti”(Raffaello Cortina Editore) è il titolo del libro di Mauro Grimoldi, psicologo, esperto di criminologia minorile e disturbi del comportamento in adolescenza, consulente per i tribunali di Milano, Monza, Brescia e Piacenza e per la corte d’appello di Milano. “La comprensione delle motivazioni è alla base della cura. Negli adolescenti, spesso, la rottura del patto sociale che porta a delinquere nasce da una sensazione di disagio, da un tempo bloccato, da qualcosa che non sta andando bene per cui la trasgressione appare come una soluzione. Anche se ovviamente non è così” afferma in un’intervista di Micol Sarfatti sul settimanale 7 de “Il Corriere della Sera”.
Le violenze sessuali sono drammaticamente all’ordine del giorno, con protagonisti anche ragazzi che agiscono in gruppo. “Il reato sessuale – sostiene – non nasce dal desiderio vero, ma dalla rabbia e dal silenzio. Conoscere queste dinamiche permette di trovare cure più efficaci per i ragazzi. Non è vero che chi commette un reato poi tende a ripetersi. I giovani possono e devono essere aiutati”.
Non ritiene il carcere l’unica soluzione perché “alla base deve sempre esserci una diagnosi personalizzata e accurata che consenta di concentrarsi sul singolo”, ma aggiunge che “il penitenziario può essere uno strumento efficace perché svolge una funzione sociale importante”. Spiega: “Mi è capitato, negli anni, di vedere ragazzi che avevano ottenuto la libertà tornare a bussare alle porte del Beccaria perché lì dentro si sentivano protetti. Le sbarre non sono solo un contenitore fisico, possono diventare anche un contenitore psichico di grande sostegno. Il problema del carcere è il sistema valoriale completamente ribaltato: nel microcosmo chi commette crimini piccoli è uno sfigato, i vincenti sono quelli che si macchiano dei reati più importanti. Lavorare in quel contesto è molto complicato e non sempre porta a una vera riabilitazione. Il carcere può essere allo stesso tempo un buono e un cattivo strumento”.
Nell’intervista, Grimoldidice che “spesso, i ragazzi possono avere un’indole impulsiva, ma non aggressiva” e che “le loro azioni criminogene nascono dall’incapacità di gestire le pulsioni o dal conflitto insanabile che si instaura tra loro e il mondo”. Aggiunge: “Hanno la sensazione di essere stati derubati di qualcosa di cui non riescono a riappropriarsi, vogliono ristabilire una giustizia sommaria punendo gli autori della loro umiliazione sociale: professori, compagni di classe, amici, adulti”.
Respinge inoltre la diffusa convinzione che i ragazzi di famiglie problematiche siano più esposti, specie se si considera non la microcriminalità ma i reati più gravi che sono frutto di “un profondo disagio individuale” e sovente “si verificano in famiglie “dove il figlio è protetto e ha vissuto una bellissima infanzia, ma poi si scontra con le difficoltà dell’adolescenza” quali il rifiuto, l’insuccesso, la sconfitta.