Insegnare il peso delle parole e le loro conseguenze. Un obiettivo tanto impegnativo quanto fondamentale. Per tutti ma specie per i giovani, che al contrario degli adulti possono ancora, e più facilmente (si spera), rapportarsi correttamente con gli altri. Perché certe espressioni possono far male e, spesso, avere conseguenze tragiche. Basta leggere i giornali per averne quasi quotidianamente conferma. Tutto questo rientra nel percorso educativo, “Il mio primo telefono”, ideato dall’associazione “Parole Ostili “, finanziato dal Comune di Bergamo e svoltosi in questi primi tre anni in 40 classi delle scuole medie.
Come scrive Daniela Di Iorio su “Buone Notizie” de “Il Corriere della Sera” il percorso intende sensibilizzare i ragazzi alla consapevolezza e responsabilità sul bullismo e cyberbullismo, le fake news, la privacy, l’hate speech, la web reputation, i rischi e le opportunità della Rete, la vita onlife dei ragazzi, le chat. Fondamentale, in questa chiave, accompagnare genitori e insegnanti nell’approccio alla consegna dello smartphone che, in base a sondaggi tra i ragazzi, avviene intorno ai 10 anni, età in cui devono quindi già avere gli strumenti per non cadere in reti pericolose.
E’ stato predisposto un “Manifesto della comunicazione non ostile” con dieci principi volti ad insegnare il peso delle parole e le loro conseguenze, insieme al corretto approccio comportamentale nel mondo virtuale.
Un messaggio fondamentale è: “Dico e scrivo in rete sole cose che ho il coraggio di dire di persona”. Questo perché su Internet i ragazzi spesso parlano con leggerezza, non si rendono conto delle conseguenze delle loro parole e comportamenti, mentreè facile ferire e farsi ferire, e anche farsi ingannare pensando erroneamente che ciò che si dice e si fa nel virtuale resti in quel mondo, quando invece ha delle ripercussioni pesanti nella vita reale.
Ai ragazzi vengono mostrati video con sul cyberbullismo e le sue conseguenze a volte gravissime su alcuni dei loro coetanei. “Erano tutti attenti e sul pezzo, usavano un linguaggio che io non conoscevo – nota l’insegnante -, hanno utilizzato quelle ore al massimo e aspettavano con ansia gli incontri. La scuola ha il compito di seminare, anche se i frutti non li vediamo immediatamente, perché il nostro compito è di partecipare alla formazione delle loro personalità” afferma un’insegnante nell’articolo.