I danni del legame, sempre più stretto e continuo, con cellulari e computer. Per non parlare di quelli diretti e indiretti da social dove viene caricato tutto da tutti. Gli esperti e non solo li additano da anni individuando anche nell’uso di questi strumenti certe forme di malessere giovanile. Cellulari che, per ragioni didattiche, ora sono stati proibiti nelle ore scolastiche. Con immediato coro di pro e contro da parte di interessati e non e con contorno dei più svariati stratagemmi per aggirare il divieto.
Teresa Ciabatti, scrittrice, dice la sua su “Il Corriere della sera”, sentita da Orsola Riva. Parole che appaiono di buon senso. “Fino a qualche anno fa, quando mi chiedevano cosa pensassi dei telefonini in mano ai bambini, rispondevo: ma che male c’è? Ora, guardandomi attorno, dico: oddio, non avevo capito niente”.
Che cosa non aveva capito? “Che la generazione di mia figlia, che ha appena cominciato il secondo anno del Liceo delle Scienze umane, ha subito un danno enorme dai social. Alla loro età, noi tornavamo a casa da scuola ed eravamo soli. Loro invece sono sempre in contatto, ma anche costantemente sotto il giudizio degli altri. Non hanno mai uno spazio di libertà in cui cominciare a scavarsi dentro. Questo crea un vuoto esistenziale di cui tutti stiamo vedendo gli effetti: chi non mangia più, chi non esce dalla sua stanza. Per questo penso che vietare gli smartphone almeno a scuola sia un’idea meravigliosa”.
Poi però, appena suona l’ultima campanella, riparte il fandango, obietta la giornalista. “Tutti abbiano provato a staccare i nostri ragazzi dal telefonino almeno per qualche ora al pomeriggio e alla sera. Ma non ci siamo riusciti. La scuola interviene dove la famiglia ha fallito”. Domanda: ma siamo sicuri che mettere fuori gioco lo smartphone basti a conquistare la loro attenzione in classe? “E’ un inizio. Questa generazione non è capace di restare concentrata per più di 5 secondi. Qualcosa bisogna pur fare”.
Teresa Ciabatti è più cauta sulle sanzioni per i trasgressori. “Su questo penso che sia meglio andarci piano. Molte scuole nemmeno lo sequestrano, il telefonino: si limitano a farlo tenere spento in cartella. E’ chiaro che ci sarà chi prova a riaccenderlo. Ci vorrà tempo. E pazienza”.