Giovani e disagio. Che spesso, troppo, si traducono in risse e accoltellamenti. Quando non ci scappa il morto. Milano, come tante grandi città, è uno degli epicentri di queste esplosive miscele. Con le sue contraddizioni: lusso e ricchezza di fronte a degrado e miseria. Il professor Paolo Crepet ne ha parlato in un’intervista di Candida Morvillo su “Il Corriere della Sera”. Alcuni estratti che possono riguardare tutti noi e Piacenza in cui molti fenomeni si riproducono tali e quali.
Baby gang. “Queste due facce fra Qatar e maranza sono speculari, con un anello che le congiunge: più si esasperano le differenze e più cresce la frustrazione. Per questi ragazzini il futuro è un grattacielo dove forse vive un calciatore e in cui non entreranno mai. E allora loro che fanno? Una volta, ne avrebbero inventato un altro, oggi no. Io con don Gino Rigoldi ho conosciuto bene la periferia milanese, che però era anche speranza. Adriano Celentano parlava di quella periferia lì, Giorgio Gaber ha dato speranza a quei giovani lì”.
Droghe. “Le droghe hanno successo perché i giovani che non pensano fanno comodo al potere e persino ai genitori che danno la paghetta. Ci stupiamo che questi siano “figli di buona famiglia”, ma che significa “di buona famiglia” se non che diamo valore solo ai soldi? Oggi, la buona famiglia è quella dove papà, coi jeans strappati a 48 anni, va a giocare a padel. Questa è una buona famiglia?”-
Padri e figli. “A 48 anni giocano per essere ancora più giovani dei figli adolescenti. Ci piace vivere a velocità ipersonica senza sapere dove andiamo. Quel Suv a 150 all’ora (ndr – il riferimento è allo scontro mortale in viale Fulvio Testi a Milano) è il ritratto del nulla, perché: primo, nessuno andava da nessuna parte; secondo, il Suv è il sogno imperfetto di una borghesia che non riesce più a crescere. Cosa c’è dopo il Suv? Un camion?”.
Alda Merini. “Ho abitato per un periodo vicino ad Alda Merini, sul Naviglio. Andavo a trovarla attraverso il cavallo di Troia di un farmacista che le portava le medicine. La sua casa piena di fumo, sembrava la prima scena di C’era una volta in America. Lei: carattere impossibile. Era zero glamour, non cercava l’applauso. Era dolore puro: il dolore che le avevano inflitto gli anni in manicomio, gli anni del silenzio, la fine dei suoi amori. Aveva però una rima sarcastica, per me, assolutamente sexy. Mi disse: ‘Guarda che anche l’angoscia è creativa’. Quella frase mi ha aperto gli occhi. Infatti, Milano diventa decadente se vuole rincorrere la perfezione. Tutto ciò che è perfetto è noioso: dalla moda all’arte, alla tecnologia”.
Osterie. “Aprirei delle osterie. Farei luoghi per i poeti. Venderei, invece che al Qatar, ai popoli africani, che ci portassero i loro bellissimi tessuti. Vorrei capire dove va Milano e girare il volante dall’altra parte”.