In meno di cinque anni l’uso di psicofarmaci sotto i 17 anni è più che raddoppiato: dal 2020 è passatodallo 0,26% allo 0,57%. Lo attesta il Rapporto OsMed. Un dato che ovviamente allarma, ma che, in un articolo di Chiara Bidoli su “Il Corriere della Sera”,Stefano Vicari, direttore della Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma e Gabriele Masi, referente del Coordinamento primari Emergenze Psichiatriche in età evolutiva, ridimensionano affermando che “i livelli restano molto più bassi rispetto ad altri Paesi europei”, visto che “in Francia le percentuali sono circa tre volte superiori, e in Spagna ancora più alte, per non parlare dei Paesi nordici”.
“È giusto preoccuparsi per chi assume un farmaco, ma dovremmo preoccuparci forse di più – aggiungono – per chi non riceve alcun trattamento, pur avendone necessità. Questa consapevolezza apre una riflessione importante, non solo clinica ma anche etica e deontologica, su come la società e i servizi sanitari rispondono ai bisogni di salute mentale dei più giovani».
A questo punto l’articolo riporta una distinzione tra gli psicofarmaci: gli stimolanti (utilizzati per l’ADHD), i farmaci serotoninergici (per la depressione o il disturbo ossessivo-compulsivo), gli stabilizzanti dell’umore (per il disturbo bipolare) e i bloccanti dei recettori D2 (usati nelle psicosi, nei disturbi del comportamento nell’autismo o nella disabilità intellettiva) hanno profili d’uso molto differenti. “Questi ultimi, in particolare – osservano gli esperti – richiedono controlli periodici accurati, soprattutto se usati a lungo, poiché presentano un rischio maggiore di effetti collaterali”.
La prescrizione in età evolutiva deve sempre avvenire con grande prudenza tenendo conto che “parlare di salute mentale nei più giovani significa promuovere una cultura dell’ascolto, della competenza e della cura”. Occorre rispettare delle regole: la decisione di prescrivere un farmaco deve inserirsi in una comprensione approfondita della situazione del minore, tenendo conto non solo degli aspetti medici, ma anche di quelli psicologici, familiari e sociali; i sintomi da trattare devono essere ben definiti, osservabili e monitorabili nel tempo, così da poter valutare se il farmaco stia davvero aiutando; dopo l’inizio della terapia, è essenziale verificarne con regolarità efficacia e tollerabilità; poiché i disturbi in età evolutiva possono cambiare con lo sviluppo o grazie ad altri interventi terapeutici, è necessario prevedere momenti in cui, anche in presenza di buoni risultati, si valuti una graduale riduzione o sospensione del farmaco, per verificare se il miglioramento possa mantenersi anche senza terapia.